Ritornare al corpo
Il corpo umano è costituito da circa 206 ossa, 360 articolazioni e 650 muscoli, di cui oltre la metà non vengono considerati da nessuno se non dagli specialisti. Il numero potenziale di terminazioni nervose è troppo grande per poter essere compreso senza prima essere passati attraverso svariati paragoni. Dal computo sono ovviamente assenti il tessuto muscolare liscio, gli organi interni con i loro sistemi, sangue, plasma e un miliardo di altre cose che farebbero venire il capogiro solo a elencarle. Concentriamoci su questi, che sono, bene o male, quelli responsabili del movimento.
Uno dei preconcetti più dannosi per la meditazione è pensare che si mediti solo con la mente. Il corpo non esiste, e se esiste deve rimanere fermo, immobile, bloccato in posizioni che vanno dalla più naturale, come quella sdraiata, alla più sadica, come quella del loto. Questo a sua volta si lega ad altri preconcetti, forse anche più diffusi, come quello dell'imperturbabilità del meditatore, dell'estraniazione, del distacco. Uscendo dall'ambito meditativo, questa presunta superiorità della mente sul corpo è un mantra (ops) che sentiamo ripetere da quando è entrato in funzione il primo telaio meccanico. "I più grandi uomini della storia erano pensatori, non atleti", si dice, e basta andare un po' indietro nel tempo per vedere che qualcosa non torna in questa affermazione.
Ci dicono ad esempio i contemporanei di Leonardo da Vinci che il suo corpo era ben proporzionato e vigoroso anche in età avanzata, forse perché è impossibile ignorare il proprio fisico quando si studia anatomia per anni. Platone, "padre del pensiero filosofico occidentale", deve il suo (sopra)nome alla larghezza delle sue spalle e alla sua bravura nella lotta. A sua volta Socrate, a più di quarant'anni, combatté da oplita nella Guerra del Peloponneso salvando la vita al generale Alcibiade, che nelle sue memorie ne loda la resistenza e la forza fisica. Socrate stesso affermava che era una disgrazia invecchiare senza aver mai sperimentato le possibilità del proprio fisico, perché, così come la mente influenza il corpo, allo stesso modo il corpo influenza la mente.
Perché il corpo esiste eccome. Se ne accorge ben presto Janwillem van de Wetering durante il suo soggiorno al monastero di Daitoku-ji, quando deve fare i conti con una dieta a base di riso e verdure bollite, adattarsi a meditare all'aperto anche in inverno e sedere nella già menzionata posizione del loto (sei giovane, il tuo corpo imparerà, gli dice testualmente uno degli anziani). Il corpo esiste. Mettendo da parte le amorevoli cure della scuola Rinzai, il corpo esiste anche quando si sta seduti a gambe incrociate o su una sedia tra le comodità di casa propria. Un numero impressionante di quei 650 muscoli sono attivi nel mantenerci stabili, soprattutto se dobbiamo stare anche con la schiena eretta ma non rigida, che è pura follia se hai passato tutta la vita appoggiato a uno schienale. E' il motivo per cui anche quando viaggiamo in treno non siamo esattamente freschissimi: il corpo risponde alle vibrazioni della carrozza.
Tendiamo a dimenticarci spesso del corpo. Le società post-industriali in cui viviamo lo mettono in secondo piano rispetto alla mente e studiano ogni genere di sistema per poterlo ignorare il più a lungo possibile. Non c'è nessun giudizio morale in questo, perché molte delle nostre comodità non sono necessariamente un male, anzi. Così come non ci sarebbe nulla di male nel passare la vita su una sedia, se non fosse che a un certo punto il corpo ci ricorda della sua esistenza. Quando qualcosa si rompe, quando qualcos'altro si irrigidisce, quando cominci a sentire parti del tuo corpo che non pensavi di avere e ti fanno male tutte quante. Si dice che oltre una certa età ci si rende conto del proprio corpo, ma per farlo non è necessario arrivare a cinquant'anni e scoprire di non riuscire più a reggere un bicchiere di vino. Spesso è sufficiente fare qualcosa di nuovo.
Il corpo esiste anche in situazioni apparentemente statiche quando si suona uno strumento, meglio ancora se a fiato, ed è incredibile vedere quanti muscoli si attivano per produrre un banalissimo Do. "Non sei nato per suonare un tubo di ottone di un metro e mezzo, sei nato per correre e cacciare bisonti", mi dice ogni tanto il mio maestro di tromba. "Le tue labbra non sono abituate a stare a contatto con quel pezzo di metallo, e di sicuro non vogliono abituarsi. Per loro quello è una minaccia". Niente di più vero, e non sono solo le labbra. La gola si chiude, le guance si irrigidiscono, mascella e
mandibola si bloccano. Per non parlare del diaframma. Provaci a suonare come Miles Davis, in quelle condizioni.
Eppure, se si è consapevoli di questi muscoli e si riesce a rilassarli, succede qualcosa di inaspettato. Una volta che l'aria fluisce, le corde vocali e le labbra vibrano, e nasce un suono limpido e continuo, la sensazione non è di aver prodotto qualcosa di alieno. Al contrario, è una sensazione di familiarità, la stessa che si prova mentre si corre o si eseguono esercizi di stretching. Il corpo non è più un peso da trascinarsi dietro, ma una fonte di calore ed energia. Energia che è la stessa che si sprigiona in pratiche più formali, perché, così come con la mente, lavorando con il corpo si riscoprono parti di sé che erano sempre state lì, sotto i propri occhi, e che per anni, forse decenni, erano state ignorate fino al punto da venire dimenticate. Riappropriarsi di queste parti significa ritornare completi, corpo e mente non più separati ma una cosa sola. Da qui anche la sensazione di familiarità: è un po' come tornare a casa.
Davide Tessitore