Vivere in una bolla
"Non so voi", dice G., "ma in questi giorni ho come l'impressione di vivere in una bolla".
Una bolla intesa in questo caso come le pareti domestiche, il luogo nel mondo in cui si è scelto di passare la quarantena. Una bolla fisica, isolata dal vasto insieme di realtà che compongono il mondo esterno. Sì, la sensazione di vivere in una bolla ce l'abbiamo un po' tutti in questo periodo. Ma non è una sensazione nuova. Vivevamo in una bolla anche prima della quarantena, ma si trattava di una bolla mentale, impalpabile e più difficile da definire. Ora che l'isolamento fisico si è aggiunto a quello mentale, quest'ultimo è diventato molto più concreto.
In analisi informatica si parla di filter bubble (bolla di filtraggio) per descrivere il risultato dell'incrociarsi di algoritmi, suggerimenti e annunci personalizzati sui social networks e altri siti che si basano sulle ricerche dei propri utenti. Dati i miei interessi X e Y, il sistema tenderà a mostrarmi certe pagine e a suggerirmi certi utenti con cui stringere amicizia. Ma questa bolla di filtraggio non è limitata al mondo informatico. Ognuno di noi vive in diverse bolle, alcune strette a livello personale, altre condivise da più persone, tutte limitanti in quanto escludono gran parte della realtà del mondo. Chi può permettersi di investire tempo e soldi nella psicoterapia è automaticamente in un insieme diverso rispetto a chi non può farlo, e chi pratica mindfulness si colloca in un gruppo ancora diverso. Una diversità, e una disuguaglianza, evidente in periodo di quarantena: tutti coloro che possono effettivamente stare a casa si trovano in una bolla parecchio distante da quella di chi a casa non può starci, perché è costretto ad andare al lavoro o perché semplicemente non ce l'ha (la casa, ma anche il lavoro). In un'altra bolla sono tutte e tutti coloro che vivono in una relazione abusiva, che la quarantena rende ancora più simile al carcere; chiunque sia in preda all'astinenza da questa o quell'altra sostanza e si ritrovi a dover scegliere tra la coercizione e lo svanire nel nulla; chi è stato da tempo abbandonato dalla società, dai carcerati ai rom, passando per tutti quegli indesiderabili che, non si dice ad alta voce, "ma magari se lo pigliassero loro, il virus".
Una bolla immensa circonda l'Italia, e poi l'Europa e il mondo occidentale, lasciando fuori un numero incalcolabile di realtà valide e concrete quanto la nostra. Nella nostra bolla generalmente si muore giovani per un incidente o per un "male brutto", come lo si chiamava una volta, mentre se si muore "di vecchiaia" lo si fa al termine di una degenza lunga anni. Non siamo abituati a veder morire cinquantenni per lo più sani, non fosse stato per quel problema di ipertensione, o veder portare via gli anziani di punto in bianco. Pochi ormai ricordano un tempo in cui si veniva a sapere della morte di qualcuno da una telefonata o un necrologio, senza aver avuto il tempo di salutarlo. Eppure, nelle molte realtà che ci circondano, un virus è solo una delle tante cose che possono ucciderti o menomarti. Realtà più vicine a quelle delle storie di una volta, dove non si lesinava sul sangue e sulla morte, e dove il lieto fine non era scontato. Se potessimo immergerci in queste realtà anche solo per una giornata, ne avremmo uno shock culturale ed esistenziale senza paragoni. Già solo vederle, riconoscere che sono parte integrante del nostro mondo, richiede uno sforzo notevole.
Non si tratta di fare benaltrismo, né di “contare le proprie benedizioni”, come dicono gli americani - consiglio fastidioso che di solito viene elargito e mai seguito. Si tratta di riconoscere che il nostro isolamento, la nostra miopia, sono soprattutto mentali. Quando torneremo a camminare per strada e avremo annullato le barriere fisiche, forse ci renderemo conto che non era un blocco di cemento a dividerci dagli altri, ma quell'insieme di preconcetti, abitudini e inconsapevolezza che ci porta a escludere automaticamente tutto ciò che non è simile alla nostra esperienza. Sì, viviamo tutti in una bolla, e ci stiamo vivendo da parecchio. Non l'ha creata la quarantena. La quarantena l'ha solo portata in primo piano.
Una bolla intesa in questo caso come le pareti domestiche, il luogo nel mondo in cui si è scelto di passare la quarantena. Una bolla fisica, isolata dal vasto insieme di realtà che compongono il mondo esterno. Sì, la sensazione di vivere in una bolla ce l'abbiamo un po' tutti in questo periodo. Ma non è una sensazione nuova. Vivevamo in una bolla anche prima della quarantena, ma si trattava di una bolla mentale, impalpabile e più difficile da definire. Ora che l'isolamento fisico si è aggiunto a quello mentale, quest'ultimo è diventato molto più concreto.
In analisi informatica si parla di filter bubble (bolla di filtraggio) per descrivere il risultato dell'incrociarsi di algoritmi, suggerimenti e annunci personalizzati sui social networks e altri siti che si basano sulle ricerche dei propri utenti. Dati i miei interessi X e Y, il sistema tenderà a mostrarmi certe pagine e a suggerirmi certi utenti con cui stringere amicizia. Ma questa bolla di filtraggio non è limitata al mondo informatico. Ognuno di noi vive in diverse bolle, alcune strette a livello personale, altre condivise da più persone, tutte limitanti in quanto escludono gran parte della realtà del mondo. Chi può permettersi di investire tempo e soldi nella psicoterapia è automaticamente in un insieme diverso rispetto a chi non può farlo, e chi pratica mindfulness si colloca in un gruppo ancora diverso. Una diversità, e una disuguaglianza, evidente in periodo di quarantena: tutti coloro che possono effettivamente stare a casa si trovano in una bolla parecchio distante da quella di chi a casa non può starci, perché è costretto ad andare al lavoro o perché semplicemente non ce l'ha (la casa, ma anche il lavoro). In un'altra bolla sono tutte e tutti coloro che vivono in una relazione abusiva, che la quarantena rende ancora più simile al carcere; chiunque sia in preda all'astinenza da questa o quell'altra sostanza e si ritrovi a dover scegliere tra la coercizione e lo svanire nel nulla; chi è stato da tempo abbandonato dalla società, dai carcerati ai rom, passando per tutti quegli indesiderabili che, non si dice ad alta voce, "ma magari se lo pigliassero loro, il virus".
Una bolla immensa circonda l'Italia, e poi l'Europa e il mondo occidentale, lasciando fuori un numero incalcolabile di realtà valide e concrete quanto la nostra. Nella nostra bolla generalmente si muore giovani per un incidente o per un "male brutto", come lo si chiamava una volta, mentre se si muore "di vecchiaia" lo si fa al termine di una degenza lunga anni. Non siamo abituati a veder morire cinquantenni per lo più sani, non fosse stato per quel problema di ipertensione, o veder portare via gli anziani di punto in bianco. Pochi ormai ricordano un tempo in cui si veniva a sapere della morte di qualcuno da una telefonata o un necrologio, senza aver avuto il tempo di salutarlo. Eppure, nelle molte realtà che ci circondano, un virus è solo una delle tante cose che possono ucciderti o menomarti. Realtà più vicine a quelle delle storie di una volta, dove non si lesinava sul sangue e sulla morte, e dove il lieto fine non era scontato. Se potessimo immergerci in queste realtà anche solo per una giornata, ne avremmo uno shock culturale ed esistenziale senza paragoni. Già solo vederle, riconoscere che sono parte integrante del nostro mondo, richiede uno sforzo notevole.
Non si tratta di fare benaltrismo, né di “contare le proprie benedizioni”, come dicono gli americani - consiglio fastidioso che di solito viene elargito e mai seguito. Si tratta di riconoscere che il nostro isolamento, la nostra miopia, sono soprattutto mentali. Quando torneremo a camminare per strada e avremo annullato le barriere fisiche, forse ci renderemo conto che non era un blocco di cemento a dividerci dagli altri, ma quell'insieme di preconcetti, abitudini e inconsapevolezza che ci porta a escludere automaticamente tutto ciò che non è simile alla nostra esperienza. Sì, viviamo tutti in una bolla, e ci stiamo vivendo da parecchio. Non l'ha creata la quarantena. La quarantena l'ha solo portata in primo piano.
Davide Tessitore